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Michele Mezza, Presidente di Giuria della VII Edizione

Questa travagliata edizione del Premio Giornalistico vede impegnato – in qualità di Presidente della giuria – il giornalista Michele Mezza.

Collega di Aldo Bello al GR1, è stato – tra l’altro – inviato in Unione Sovietica e sul teatro delle Guerre jugoslave degli anni novanta. Ma il suo contributo forse più importante è riferibile alla ideazione prima e alla realizzazione poi del progetto RaiNews24 – il primo canale televisivo all-news della televisione italiana, di cui in seguito è stato vice-direttore.

Oggi è docente di Marketing e new media presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli.

Pubblichiamo un contributo che Michele Mezza ha voluto scrivere per presentarsi e per raccontarci del suo vissuto al GR1, al fianco di Aldo Bello.


Un giornalista che avrebbe contraddetto Balzac

In un suo mitico libretto intitolato I Giornalisti Honorè De Balzac, con la sua luciferina ironia, spiegava perché se non fosse esistito il giornalismo non lo si sarebbe dovuto inventare.

Chi come me, ha avuto la sua formazione ed educazione professionale in quelle oscure ed allora vetuste stanze del GR1, in via del Babuino, non può condividere quel giudizio, anche se non mi mancano episodi e circostanze per comprenderne le ragioni.

Il giornalismo, come gran parte delle attività umane aderisce alla personalità dei suoi interpreti, modellando principi, valori e comportamenti sul profilo degli interpreti. In quelle stanze, dove arrivai da Milano a metà degli anni 80, ebbi il privilegio di incontrare uno straordinario spaccato della categoria, dei veri fuoriclasse della professione, come Aldo Bello.

Non era facile spiccare in quella compagnia talentuosa, dove si aggiravano, ognuno con le sue caratteristiche caratteriali, psicologiche, culturali, ma tutti con la capacità di toccare vette estreme nell’interpretazione del giornalismo. La Radio, come è noto, è un media caldo, come lo classifica Mc Luhan, un mezzo estremamente sensibile e modellabile, dove quel sortilegio della voce e dei contenuti forgiano un incantesimo momentaneo che si ripete implacabilmente, per ogni volta che ci si mette in ascolto. Ma è anche un meccanismo spietato, che proprio per la sua essenzialità, in media poco più di 100 secondi per un servizio, non ammette divagazioni o imprecisioni.

Solo un senso, l’udito è il vettore, tutti gli altri, sono tesi a sorreggere la comprensione, e la valutazione di cosa viene trasmesso. Gli ascoltatori della radio maturano una relazione esclusiva, personale, intima con chi la produce, tale da sentirsi unici destinatari della trasmissione. Il GR1 era una redazione che parlava ad ognuno dei suoi milioni di ascoltatori, individualmente, personalmente, intimamente. Ognuno aveva raggiunto un equilibrio perfetto fra l’autorevolezza sui temi che trattava, lo stile di racconto, il modo di produzione. Aldo nella sua duplice veste di grande inviato di cronaca e architetto e organizzatore delle principali edizioni del giornale radio, imprimeva a quello che faceva l’eleganza dell’inevitabilità. Sembrava che fosse proprio obbligatorio fare come lui, usare quei termini, avere quell’approccio su argomenti scabrosi, quali quelli che trattava con il tatto sapiente di chi sapeva sempre molto più di quanto il giornale gli chiedesse.

Vedendolo in azione da vicino, osservare il modo con cui arrivava di primissima mattina, verso le 5 per programmare le prime edizioni del GR!, fresco e inappuntabile, pronto per proseguire la giornata dopo la messa in onda inseguendo informazioni e documenti d’archivio negli ambienti più diversi, si comprendeva come quel mestiere riservasse insospettabili energie e richiedesse selettive capacità.

Con Aldo presi coraggio nel mestiere, consegnandoli i miei primi testi e vedendomeli corretti solo parzialmente e poi, con un solo sguardo e quel suo sorriso accondiscendente e complice, autorizzato ad andare in onda senza nemmeno il rito della correzione, mi convinsi che avrei potuto farlo il giornalista. Fu un’esperienza che mi permette di dare torto a Balzac. Ed ora dinanzi ad una platea di giovani scrittori mi sento di potere dire, avendo ancora negli occhi quel sorriso, che bisogna proprio inventarlo questo mestiere, nonostante che esita, inventarlo ogni giorno, inventarlo in circostanze come questa, senza nessuna subalternità e sottomissione. Insomma bisogna usare bene quest’insegnamento: essere giornalisti come lo è stato Aldo Bello. Il resto verrà da solo.

Michele Mezza