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La lezione politica e culturale di Aldo Bello

Il Centro Studi – in concomitanza con la pubblicazione del Bando relativo alla V edizione (2018) del Premio Giornalistico – propone in questa sede l’intervento con il quale Dott. Massimo Melillo – giornalista, vice-presidente Assostampa Puglia – aprì la prima edizione della manifestazione.



La lezione politica e culturale di Aldo Bello

Aldo Bello è stato un “magister vitae” e rappresenta un “unicum” nel panorama culturale ed editoriale del nostro Paese. Anzitutto, era un uomo onesto e leale, un galantuomo non di altri tempi ma del suo tempo, perché il suo tempo l’ha vissuto pienamente e ne è stato anche protagonista e testimone avendo attraversato più territori della cultura e della politica: è stato saggista, narratore, giornalista; ha scritto di economia, di letteratura e di arte, ha avuto dunque un ventaglio di interessi veramente straordinario.

Quando rifletto su queste grandi personalità mi viene spontaneo collegarle sempre alle proprie origini: Aldo era nato a Galatina in una famiglia della piccola borghesia , che pur sapendo di dover affrontare non poche difficoltà non smise mai di credere nelle capacità del suo giovane figlio e nel riscatto attraverso lo studio e la cultura perché in quell’Italia, nonostante le condizioni di vita e di lavoro c’era chi, pur a prezzo di grandi sacrifici, faceva studiare i propri figli anche nei licei classici, cosa che presupponeva una successiva scelta universitaria e, quindi, ulteriori e notevoli costi aggiuntivi. Se penso alle nostre attuali e migliori condizioni di vita e di lavoro in relazione all’altissimo tasso di dispersione scolastica, soprattutto nel sistema d’istruzione universitario, c’è di che preoccuparsi.

L’esempio di Aldo è veramente un “unicum”, perché l’arrivo a Roma presso l’allora prestigiosa università della “Sapienza”, gli consente di raccogliere gli insegnamenti e la lezione di giganti della cultura, che purtroppo non esistono più, come Natalino Sapegno, Federico Chabod e Giuseppe Ungaretti ed è talmente sollecitato da questi Maestri che la sua tesi di laurea la svolge su un tema allora poco indagato, che è quello della poesia della Resistenza, uno straordinario moto popolare, che riscattò la nostra Patria dall’ignominia nazifascista e, quando penso alla poesia resistenziale mi viene subito in mente Salvatore Quasimodo quando scrive “e come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore” o l’epigrafe di Piero Calamandrei per una lapide collocata nel dicembre del 1952 nel Palazzo Comunale di Cuneo in segno di protesta contro la liberazione del criminale nazista Albert Kesserling, responsabile tra l’altro della strage di Marzabotto e delle Fosse Ardeatine, e in occasione dell’ottavo anniversario del sacrificio del comandante partigiano Duccio Galimberti: “Lo avrai / camerata Kesserling / il monumento che pretendi da noi italiani / ma con che pietra si costruirà / a deciderlo tocca a noi…Su queste strade se vorrai tornare / ai nostri posti ci ritroverai / morti e vivi collo stesso impegno / popolo serrato intorno al monumento / che si chiama / ora e sempre / Resistenza”.

Ora e sempre significa anche oggi, anche domani: un valore che dovrebbe essere condiviso da tutti noi ma che oggi appare sbiadito e spesso scomparso dall’orizzonte politico e culturale di questo Paese. Anzi si assiste quotidianamente con insolente indifferenza alla sovversione dei valori resistenziali, il che dovrebbe allarmare non poco le coscienze democratiche.

Dunque Aldo si forma alla scuola di Sapegno e di altri illustri docenti universitari e credo che da questa sua tesi derivi il suo essere un liberale, perché Aldo è stato sino alla fine della sua esistenza un liberale storico.

Benedetto Croce disse che “non possiamo non dirci cristiani” e questo ammonimento mi permetto di mutuarlo in “non possiamo non dirci liberali”. Nel nostro Paese i liberali, pur essendo una minoranza schiacciata dai grandi partiti di massa, hanno rappresentato un elemento cardine della nostra vita politica e sociale, poiché ci hanno insegnato che la libertà è una categoria dello spirito e, come tale, non può essere collegata immediatamente a quella del bisogno. Personalmente, invece, credo che i due ideali debbano essere intrecciati strettamente ma per Aldo è stata la libertà come categoria dello spirito a segnare tutta la sua attività culturale e professionale.
La sua scelta liberale è stata molto centrata sulla straordinaria esperienza della personalità di Piero Gobetti e della sua “Rivoluzione liberale”, un itinerario quello gobettiano che in molti vorrebbero seppellire. La stessa ispirazione di Aldo è rappresentata da Gobetti come “editore ideale” che non a caso pubblicò “Ossi di seppia” di Eugenio Montale e tanti altri testi, che restano una pietra miliare nella cultura e nella politica del nostro Paese, non ultimo “Un popolo di formiche” di Tommaso Fiore, la grande inchiesta sulla Puglia pubblicata a puntate proprio sulle pagine di “Rivoluzione liberale” a partire dal gennaio 1925.
Questo liberalismo di sinistra ha sempre caratterizzato l’attività di Aldo Bello perché, dagli studi universitari in poi, ha tenuto ben presente l’asse De Sanctis-Croce-Salvemini-Gramsci-Gobetti, nel quale possono essere inscritte anche sensibilità diverse come quelle di Luigi Einaudi o di Giovanni Amendola nelle cui famiglie liberali si sono formati il leader comunista Giorgio Amendola o l’editore Giulio Einaudi da sempre vicino al Pci. A questo occorre aggiungere un ulteriore esempio dell’attività di Aldo Bello, perché anche nella direzione di vari giornali e riviste egli ha sempre seguito questa impostazione libera da condizionamenti, appresa in quel vecchio settimanale ideato da Ennio Bonea, che era la “Tribuna del Salento” dove scrivevano tutti senza alcuna restrizione ideologica, esempio come pochi di quella libertà come categoria dello spirito.

Tutto questo ha improntato l’attività professionale di Aldo , non ultima la direzione del Televideo della Rai, che ha rappresentato il modo stesso di vedere il giornalismo. Nella sua professione Aldo è stato un cittadino del mondo come pochissimi altri giornalisti, è stato uno dei pupilli di Sergio Zavoli, colonna portante del giornalismo in Italia ed ex presidente della Rai, che con le sue inchieste di approfondimento sociale, culturale e politico ha rappresentato un punto fermo per la professione giornalistica. Questa impostazione Aldo l’ha trasferita nella sua attività anche nella “Rassegna” della Banca agricola di Matino, rivista di grande interesse con pochi casi simili in Italia. Nelle varie edizioni – Rassegna, Sud Puglia, Apulia – il periodico ha ospitato saggi e interventi di economisti, presidenti della Repubblica e del Consiglio, segretari di Stato degli USA, premi Nobel e teste pensanti del nostro Paese, con un inserto culturale capace di mettere insieme intellettuali famosi con gli interventi dello scrittore salentino Antonio Verri o del milanese Bruno Brancher, un ex galeotto che attraverso la scrittura si era redento dalle sue rapine. Per questo ho parlato di Aldo Bello come un “unicum”.

Ora si tratta di valorizzare questo pensiero, legato anche alla sua originale elaborazione della questione meridionale, quella dell’idea del Terzo Sud, che supera il primo meridionalismo di De Viti De Marco e di Giustino Fortunato sino all’ultimo filone di Manlio Rossi-Doria, di Tommaso e Vittore Fiore, di Gaetano Salvemini, di Rocco Scotellaro, ecc.

Aldo Bello aveva un’altra idea del Sud, un Sud che doveva guardare non solo ad un insediamento regionalizzato ma doveva aprirsi ad una prospettiva europea. Ma l’Europa a cui pensava Aldo Bello non è l’Europa che in questi anni hanno costruito solo sulla moneta, era la nuova Europa del “Manifesto di Ventotene” quella di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi, due antifascisti che dal confino nell’isola Ventotene pensano alla fine del Ventennio mussoliniano e alla rinascita dell’Italia, che si riscatta con la Resistenza e la guerra di Liberazione dal nazifascismo per guardare oltre i confini della Nazione, quindi all’Europa unita e federata. Per questo l’attuale Europa ha tutte le caratteristiche di un grande imbroglio tecnocratico, così come tanti sono gli imbrogli che si sono consumati contro il Mezzogiorno.
Ho ritrovato una lettera bellissima che nel 2004 Aldo scrisse a Ezio Sanapo, un artista autodidatta, nella quale parla proprio di questi imbrogli che di fatto hanno impoverito il Sud come, per fare un esempio tra i tanti, aggiungo l’inganno della Puglia indicata artatamente “California del Sud” o la Silicon Valley del Mezzogiorno, oppure la soluzione mai trovata per lo sviluppo di quella Alta Irpinia, che Rossi-Doria chiamava “Terra dell’osso” in contrapposizione alle zone più vicine al mare definite della “polpa”.

Niente di tutto questo è avvenuto e di grandi imbrogli ce ne sono stati molti. Ma è il martellamento del sistema mass-mediatico che non solo ce li fa sembrare adeguati, ma in alcuni casi vengono addirittura presentati come risolutivi per il bene dell’Italia: è il caso della abolizione delle Province, della cosiddetta riforma del Senato e della stessa Costituzione con una restrizione del fondamentale potere parlamentare, e dunque legislativo, a favore di smisurati poteri lasciati nelle mani del presidente del Consiglio e dei suoi ministri in nome della falsa idea della governabilità. E proprio riguardo al sistema mass-mediatico, Aldo in quella lettera scrive che “non per niente la stessa televisione di oggi è emblema di disimpegno civile, etico e didattico”.
Personalmente non ho mai creduto ad un tv pedagogica, ma ho sempre guardato al potentissimo mezzo televisivo contrassegnato da un forte senso dell’etica, che riconosca come valore il dover spiegare semplicemente le cose così come realmente. Con lo sguardo lungo sul Terzo Sud, Aldo metteva in discussione i vari approcci sulla questione meridionale, sovvertendone l’interpretazione gramsciana e quella di altri illustri meridionalisti, che negli anni si erano misurati con i problemi insoluti del Mezzogiorno.
Aldo Bello con la sua visione della libertà come categoria dello spirito ha raccolto il meglio degli insegnamenti non solo dei padri del liberalismo ma anche quelli della grande tradizione crociana e gramsciana e quella del liberalsocialismo di Carlo e Nello Rosselli, grandi ideali che furono centrali nella sua attività professionale e intellettuale.

Aldo aveva attenzione verso quelle che Gramsci chiamava “classi subalterne” ma rispetto a quel mondo, proprio nella lettera a Sanapo, cita l’ormai famosa discussione sulla civiltà contadina ricordando che quando fu pubblicato “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi, il libro fu al centro di un dibattito aspro all’interno del Partito comunista, perché apri sulla questione meridionale e, soprattutto, sulla civiltà contadina, che era fatta di sfruttamento, di fame, di condizioni di vita inumane. Ci si chiedeva, infatti, se tutto questo potesse chiamato civiltà? La domanda non è peregrina e il recupero di quella “civiltà” è stato possibile grazie al contributo di tanti intellettuali e ricercatori e di personalità come quella di Aldo Bello, che ci hanno insegnato ad avere un’apertura mentale e orizzonti più vasti, capaci di oltrepassare angusti steccati politici e ideologici per costruire insieme strumenti di crescita non solo culturale ma soprattutto civile.

Massimo Melillo