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Come cambia il mestiere di giornalista

Pubblichiamo l’intervento che Sonia Tura, Giornalista, Caporedattore Centrale San Marino RTV, ha tenuto nel corso della manifestazione di premiazione tenutasi il 6 giugno 2015 a Matino, presso il Palazzo Marchesale del Tufo.


Come cambia il mestiere di giornalista

Volevo raccontarvi come è cambiato, in peggio, questo bellissimo mestiere che Aldo Bello ha interpretato al meglio. Volevo dirvi che non ci sono più i grandi inviati, quelli che – come Aldo – ci raccontavano cosa accade nelle varie parti del mondo osservando le situazioni con i loro occhi. Tagli al budget, ottimizzazione delle risorse – come si dice oggi per nascondere che, nell’informazione, si fanno le nozze con i fichi secchi – hanno trasformato la professione di giornalista in una sorta di “taglia-incolla” delle notizie che arrivano dalle agenzie. Volevo anche sconsigliarvi, salvo una passione insana, dall’intraprendere un mestiere che vede un altissimo numero di disoccupati e un numero ancora più alto di collaborazioni a termine. Poi ho letto i vostri lavori e mi sono soffermata a riflettere sul significato delle parole. Perchè le parole pesano e non bisogna farsi fregare dai sinonimi e dai contrari.

Se rileggete gli scritti di Aldo Bello, vedrete che le parole sono scelte con cura. Partiamo dall’inizio. Vi ho visto utilizzare le parole “persona e individuo”, alla stregua di sinonimi.

L’uomo è un individuo in relazione con gli altri: è persona. Oggi nel sentire comune, i termini individuo e persona sono utilizzati come equivalenti e interscambiabili, perdendo di vista l’aspetto della relazione. Nella vita quotidiana si assiste ad una progressiva solitudine, con legami deboli e fragili sul lavoro e in famiglia: una generazione precaria nella vita e nell’amore. Il disagio da individuale, proprio di ciascuno, diventa relazionale.

Occorre guardarsi dalla tendenza a parlare di “persona”, intendendo “individuo” e finendo per accogliere le parole d’ordine di una cultura volta a formare uomini competitivi, flessibili, magari compassionevoli, che riconoscono il desiderio e l’interesse come unica legge.

L’uomo, soltanto come individuo, è un essere chiuso in se stesso, atomo tra gli atomi, isolato e indipendente dagli altri, dotato di libertà assoluta, che si associa con gli altri per necessità, per poter perseguire in pace i propri interessi. La persona, invece, non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere « con » e « per » gli altri. Come tale l’uomo è qualcuno di unico, singolare e irripetibile e non può mai essere trattato come mezzo; contemporaneamente è: aperto alla totalità del reale e alla trascendenza, relazionale, sociale per natura.

Essere “persona” significa porsi in relazione con gli altri e tendere a realizzare il vero e il bene come singolo e come comunità (il famoso bene comune). La persona è caratterizzata dalla capacità di conoscersi in profondità, di sviluppare il meglio di se con le grandi risorse che le sono date: l’intelligenza e l’amore.

La persona, individuo in relazione, non si riduce alla maggiore o minore capacità di entrare in rapporto con gli altri e non è riconducibile a una massa anonima e indistinta.

Mi permetto qualche spunto di riflessione perchè, secondo me, la buona scuola è quella che aiuta a pensare. Le tracce che vi sono state assegnate sono state spesso al centro delle riflessioni di Aldo Bello. Mi parlava spesso della sua terra, di questo Salento che amava moltissimo, che mi ha fatto amare moltissimo, ma che guardava con gli occhi della realtà.

E qui non mi permetto di entrare in una realtà che vede voi tutti come miei insegnanti.
Ci siamo invece soffermati spesso sul rapporto tra Islam e Occidente. L’11 settembre 2001 il direttore generale della radiotelevisione della Repubblica di San Marino era lui. E da quel giorno non è stato più lecito essere ignoranti in materia di Islam.

Oggi non è possibile comprendere quasi nulla di quel che accade nelle zone più calde del pianeta – dal Medio Oriente all’Africa sub-sahariana, se non ci si sforza di padroneggiare le diverse correnti ideologiche che attraversano il mondo islamico. Non è nemmeno possibile ragionare sul nostro futuro – vista l’immigrazione musulmana in Europa – senza tenere conto dei rapporti fra la minoranza, ancora per il momento, islamica e il vecchio continente cristiano e secolare.

Di questo si discuteva nel suo ufficio di Direttore e durante i caldi pomeriggi salentini quando avevo la gioia di raggiungerlo in vacanza. Tutti i nostri ragionamenti si chiudevano con una domanda, in qualche modo sempre la stessa. Come si fa ad assicurare condizioni di convivenza vere, non fondate sull’ ipocrisia, fra gli occidentali che da duemila anni separano il sacro dal profano (ricordate? date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio), con comunità che fanno di Dio la fonte della legge e del governo l’esecutore della sua volontà?

La convivenza è possibile solo in un caso: se i musulmani, forzando il loro credo, tengono distinte dimensione religiosa e dimensione popolare. Ma se fanno questo si espongono all’accusa di essere falsi musulmani, corrotti dal contatto con il mondo occidentale. E’ più facile, o almeno più semplice, trovare la strada che consenta di fronteggiare insieme l’Isis, unendo capacità politiche e belliche.

Chiedete e chiedetevi se è possibile, per il mondo islamico, accettare quella tolleranza, quella distinzione tra politica e religione, quella eguaglianza tra persone di diverse religioni, quel rifiuto – senza eccezioni – della violenza, quelle realtà su cui basare un mondo meno disumano. Nel 1948, gli allora non molti Stati islamici già indipendenti che sedevano alle Nazioni Unite rifiutarono di firmare la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo“, affermando che non corrispondeva alla loro prospettiva di persona e di società.
Una società dove la schiavitù non era ufficialmente abrogata, dove vigeva, e vige, una poligamia nella quale la donna è relegata in un ruolo di sottomissione, dove il non musulmano è cittadino inferiore, sottoposto a una pesante tassa e a una serie codificata di pubbliche umiliazioni. Il cristianesimo – che siate credenti oppure no – non è un libro, è un incontro tra vivi, tra gli uomini e Cristo, con la ricchezza e la duttilità che nasce dalla vita. Il Corano ne è il contrario, con il testo originale custodito in Cielo accanto ad Allah, eterno, immodificabile, dettato parola per parola a Maometto, con le sue sentenze da osservare sempre e comunque in modo letterale, costi quel che costi.

Infine un ultima provocazione o, se volete, la proposta di una riflessione fuori dagli schemi perchè – e alla vostra età so che è difficile crederlo – non c’è solo il bianco o solo il nero.

La seconda traccia che vi è stata proposta sulla “Grande Guerra” partiva da una riflessione di Aldo Bello che, mi sembra, non tutti hanno colto. Una strage inutile, è vero, ma – scrive Aldo – con avvisaglie di democrazia e modernizzazione.

E qui vi propongo un altro colore, senza giustificarlo…

I quattro anni, tra il 1914 e il 1918, di quella che è stata chiamata, non a caso, la “Grande Guerra” provocarono milioni di morti ma diedero al mondo uno dei maggiori colpi di volano. Gli eserciti scesero in campo con i cavalli da tiro, i piccioni viaggiatori, le penne e i calamai. Alla fine, avevano camion e trattori, aeroplani, radio, macchine da scrivere e calcolatrici. Sempre per ragioni strategiche era stato accellerato anche lo sviluppo delle ferrovie. Certo, quei vagoni servivano anche per portare le persone al massacro. Ma senza quelle infrastrutture neanche l’economia di pace avrebbe potuto espandersi. La tensione bellica porta frutti anche quando si tratta di “guerra fredda”: quella tra il 1945 e il 1989, tra Nato e Patto di Varsavia. Le imprese spaziali non ci sarebbero state o sarebbero stato molto rallentate senza una competizione che vedeva nel cielo uno spazio militare e, soprattutto, uno strumento di propaganda. La ricaduta tecnologica di questa corsa è stata la più alta della storia. Non sono una guerrafondaia, voglio solo ribadire che la realtà è sempre così complessa da non tollerare semplificazioni.

Chiudo con un ringraziamento particolare ad Ada Bello che mi ha voluta qui, a Cosimo Mudoni che mi ha pazientemente sopportata in queste settimane e a tutti voi.

Aldo Bello era un signore. Lo so, sembra un termine desueto. Ma è questo quello che mi viene in mente ogni volta che lo ricordo.
Garbato, elegante, coltissimo, pacato, ironico, innamorato – e lo diceva senza nascondimenti – di sua moglie e dei suoi figli.

E’ stato mandato dall’allora direttore generale della Rai Celli alla direzione generale della consociata – San Marino Rtv – con l’incarico di chiuderla. Il bilancio segnava un profondo rosso che avrebbe costretto la Rai, socia al 50%, a ripianare la metà dei debiti. Aldo Bello risanò il deficit, assicurò il posto di lavoro al oltre 100 dipendenti e lasciò una azienda risanata e piena di progetti per il futuro. Questo non lo sa quasi nessuno, non solo perchè – come ripeto sempre – in politica (e qui parliamo di scelte politiche) non c’è memoria. Ma perchè Aldo lasciò che a parlare fossero i fatti, senza raccontare ad alcuno i risultati ottenuti.